L’epigenetica conta. Lo si legge dalle pagine della rivista Frontiers in Pediatrics dove nel 2017 è stato pubblicato un articolo nel quale si “tirano le somme” sul rapporto tra alimentazione materna e neonatale e salute futura del bambino. Il messaggio principale che emerge da questo e da una serie di altri studi recentemente pubblicati è che la dieta dei primi mille giorni di vita del bambino – a partire dal concepimento e fino alla conclusione del secondo anno di età – ha un impatto davvero profondo sulla salute, arrivando fino a modificare il DNA. Proprio di questo si parla quando si cita l’epigenetica, un meccanismo spiegato in dettaglio nella rubrica “Lo sai che” e attraverso il quale i geni cambiano il loro livello e la loro modalità di espressione (risultando in alcuni casi “accesi” e in altri “spenti”) anche se la struttura di base del DNA non cambia.
In queste modifiche il cibo che la futura mamma decide di portare in tavola ha un ruolo di primo piano, soprattutto perché nei primi periodi dello sviluppo fetale l’organismo è particolarmente sensibile agli stimoli che arrivano dall’esterno e che possono influenzarne più facilmente lo sviluppo, con conseguenze importanti sulla salute fisica e mentale a lungo termine. Non bisogna infatti dimenticare che le modifiche epigenetiche determinate per esempio dall’alimentazione materna o neonatale possono essere ereditate e di conseguenza trasmesse addirittura alle successive generazioni. Comprendere a fondo questi meccanismi potrebbe essere la chiave per definire strategie di prevenzione di molte malattie croniche degli adulti partendo dall’alimentazione della mamma in gravidanza.
Come si legge in una revisione della letteratura, aspetti specifici dell’alimentazione materna modificano mediante meccanismi epigenetici l’espressione di particolari geni, alcuni dei quali coinvolti nello sviluppo di patologie anche gravi. Gli studi sull’argomento condotti nell’uomo non sono molti, ma riescono comunque a dare un’idea di come cibo e DNA si parlino sin dai primi giorni dello sviluppo fetale. In particolare, i lavori disponibili tendono a concentrarsi su una serie di micronutrienti considerati importanti nel processo epigenetico di metilazione, ovvero l’aggiunta di un gruppo chimico (il gruppo metile) al DNA, capace di modificare l’espressione dei geni.
Tra questi emergono il folato, le vitamine B12, B2, B6, colina e betaina, oltre ad alcuni metalli come lo zinco, il ferro e il cadmio. Il livello materno di folato influenza per esempio la metilazione di IGF2, un gene associato con lo sviluppo fetale, mentre la vitamina B2 può modificare la metilazione del gene ZAC1, associato a ritardo della crescita e diabete nelle prime settimane di vita. Anche i macronutrienti nella dieta della futura mamma – proteine, carboidrati e grassi – hanno un impatto sul corredo epigenetico del figlio: i carboidrati, ma non i grassi e le proteine, sono stati associati a modifiche epigenetiche del gene RAXA coinvolto nel determinare la massa grassa e l’indice di massa corporea del bambino. Le scoperte in questo settore relativamente nuovo dell’alimentazione si accumulano ogni giorno e potranno in futuro essere tradotte in strumenti di prevenzione, anche se per il momento i risultati non sono sufficienti a stabilire regole di nutriepigenetica specifiche per mamme e neonati.
Se ne parla in dettaglio nella rubrica “Focus on”, ma è importante ribadire anche in questa sede che il microbiota intestinale, ovvero la numerosissima comunità di microrganismi che popola l’intestino, è in grado di influenzare il DNA dell’uomo. E ancora una volta questa influenza è legata almeno in parte a meccanismi di tipo epigenetico e si fa sentire in modo particolare nei primi anni di vita. Anzi, probabilmente l’influenza del microbiota inizia già in utero. Infatti, a differenza di quanto si pensava fino a pochi anni fa, diversi studi stanno facendo emergere prove a sostegno del fatto che il feto non viva in un ambiente “sterile” e non nasca quindi privo dei microrganismi che colonizzano ogni individuo sano (dalla pelle, all’intestino, alle mucose), ma cominci già a sviluppare un proprio specifico microbiota durante la gravidanza.
E le diverse specie di batteri che colonizzano il neonato non possono che derivare dalla mamma e in buona parte dalla sua dieta. All’alimentazione materna si aggiungono poi altre vie attraverso le quali il neonato entra in contatto con quelli che saranno i primi componenti di una comunità che si consoliderà nei primi anni di vita e poi lo accompagnerà per sempre. La modalità del parto (nel canale vaginale sono presenti molti batteri che non si incontrano se il parto è cesareo) e il contatto con la pelle della mamma rappresentano due di queste vie che poi andranno a influenzare in particolare aspetti legati allo sviluppo del sistema immunitario, al metabolismo e al neurosviluppo lungo il cosiddetto asse microbiota-intestino-cervello. Lavorare sul microbiota significa lavorare su un enorme arsenale di potenziali armi da utilizzare al servizio della salute grazie anche a modifiche a livello epigenetico.
Fonti:
1. Indrio F, et al. Front Pediatr. 2017 Aug 22;5:178. eCollection 2017. Review.
2. Geraghty AA, et al. Nutr Metab Insights. 2016 Feb 16;8(Suppl 1):41-7. eCollection 2015. Review.
3. Chango A, Pogribny IP. Nutrients. 2015 Apr 14;7(4):2748-70. Review.