I carboidrati rappresentano una componente essenziale della dieta quotidiana e forniscono all’organismo l’energia “pronta per l’uso” di cui ha bisogno per funzionare al meglio. Non tutti i carboidrati, però, sono uguali: cambia per esempio la loro capacità di modificare la concentrazione di glucosio nel sangue dopo il pasto e la velocità con cui vengono assorbiti, proprietà che hanno effetti importanti sulla salute.
L’indice glicemico (IG) rappresenta proprio la capacità di un alimento – e in particolare dei carboidrati che in esso sono contenuti – di modificare la cosiddetta glicemia post-prandiale (la concentrazione di glucosio dopo il pasto). Negli oltre 30 anni trascorsi dall’introduzione nel 1981 del concetto di indice glicemico, numerosi esperti si sono dedicati allo studio di questo parametro e del suo impatto sulla salute, creando anche importanti database nei quali sono raccolte informazioni sull’indice glicemico assegnato ai singoli alimenti sulla base di procedure di analisi complesse. Senza entrare nel dettaglio delle metodologie utilizzate per il calcolo dei singoli valori, è importante sapere che gli alimenti vengono in genere suddivisi in tre categorie sulla base del loro indice glicemico: a basso IG (IG?55), a medio IG (IG tra 56 e 69 inclusi) e ad alto IG (IG?70). In tutti i casi si tratta di valori calcolati in confronto al glucosio, l’alimento di riferimento al quale viene assegnato un IG uguale a 100. Minore è l’IG di un alimento, minore è la sua capacità di aumentare il livello di glucosio nel sangue, a parità di contenuto di carboidrati.
Dopo un pasto che contiene carboidrati il livello di glucosio nel sangue sale e il livello di questo incremento dipende non solo dalla qualità dello zucchero consumato (l’indice glicemico), ma anche dalla quantità. Si parla allora di “carico glicemico” una misura che tiene conto sia della qualità che della quantità dei carboidrati in un pasto. Come per l’IG anche per il carico glicemico esistono le categorie “basso”, “medio” e “alto” nelle quali sono classificati i diversi alimenti e che corrispondono a valori di carico glicemico 10 (basso), tra 11 e 19 (medio) e 20 (alto).
Per calcolare questo valore basta applicare una semplice formula che prevede di moltiplicare l’IG dell’alimento per la quantità di carboidrati contenuti in una porzione dello stesso e di dividere il risultato per 100.
Per esempio per una mela – che ha IG=38 e contiene 15 grammi di carboidrati per porzione – il carico glicemico sarà: (38×15)/100 = 5,7. Una mela ha quindi un carico glicemico basso, vicino a 6.
I motivi per scegliere una dieta a basso indice glicemico sono molti: si riduce il rischio di insulino-resistenza, eccedenza ponderale e diabete mellito di tipo 2, si migliorano colesterolemia e pressione arteriosa, si abbassa anche il rischio di alcune malattie croniche legate allo stile di vita, con benefici che si manifestano a tutte le età. Conoscere il valore di tale indice però non è sufficiente a predire in modo preciso la risposta glicemica individuale, ovvero quanto effettivamente il valore di glucosio nel sangue salirà dopo un pasto. Sono molti infatti gli elementi che possono influenzare tale risposta: su alcuni – come per esempio le caratteristiche genetiche individuali – non si può avere un reale controllo, mentre su altri è possibile intervenire in modo attivo. Tra questi ultimi è importante ricordare la composizione dei pasti dal momento che, in genere, non si consumano pasti composti esclusivamente da carboidrati e che anche gli altri macronutrienti (proteine e grassi) influenzano la risposta glicemica in modo diverso a seconda della loro qualità e quantità. Altre variabili che entrano in gioco nel determinare la risposta glicemica (struttura dei carboidrati, cottura dell’alimento, eccetera) sono descritte più in dettaglio nella rubrica “Consigli pratici”.
Fonti:
1. Società Italiana di Diabetologia. http://www.siditalia.it
2. Augustin LS, et al. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2015 Sep;25(9):795-815.
3. Glycemic Index Foundation. http://www.gisymbol.com