Consumare un pasto a base di carboidrati prima di una sessione di esercizio è una pratica ormai comune tra gli atleti che svolgono attività nelle quali la durata è importante, come per esempio corsa, ciclismo o nuoto su lunghe distanze. La scelta di questo gruppo di macronutrienti serve senza dubbio per soddisfare la fame e le necessità nutrizionali di chi pratica esercizio, ma è anche fondamentale per garantire all’organismo la quantità di energia di cui ha bisogno in un momento di grande richiesta, come l’allenamento o la gara.
Nell’ambito del dibattito su come preparare il migliore pasto pre-allenamento resta aperta la discussione relativa alla scelta dei carboidrati in base al loro indice glicemico (descritto in dettaglio nella rubrica “Lo sai che…”), ovvero la loro capacità di modificare i livelli di glucosio nel sangue dopo l’assunzione. Il primo studio che ha analizzato l’impatto dell’indice glicemico sulla prestazione atletica risale al 1991 e in esso è stato evidenziato che un pasto a basso indice glicemico consumato 60 minuti prima dell’esercizio migliorava la prestazione in un particolare test rispetto a un pasto con alto indice glicemico. Questo effetto benefico potrebbe essere legato al fatto che i carboidrati a basso indice glicemico mantengono sotto controllo il livello di glucosio e di insulina dopo i pasti, evitando pericolosi picchi. Inoltre questo effetto si mantiene a lungo, dettaglio non trascurabile negli esercizi “di durata”. Infine, il ridotto aumento del livello di insulina (il cui rilascio è, peraltro, inibito durante l’attività fisica) potrebbe facilitare il rilascio e l’ossidazione degli acidi grassi, riducendo così il consumo di glicogeno presente nei muscoli.
Se in teoria un pasto pre-allenamento composto da carboidrati a basso indice glicemico può migliorare le prestazioni, gli studi oggi disponibili mostrano risultati contrastanti. Lo si comprende bene analizzando due diverse revisioni della letteratura e metanalisi del 2017 che cercano di fare il punto della situazione sull’argomento. La prima, pubblicata sulla rivista Nutrition Reviews sembra avvalorare la tesi in favore del pasto a basso indice glicemico capace, in base ai risultati dell’analisi, di migliorare seppur in misura minima la prestazione in alcuni particolari test rispetto al pasto con alto indice glicemico.
Diverso il risultato della seconda metanalisi, pubblicata su Sports Medicine, dalla quale non emerge un chiaro beneficio dal consumo di carboidrati a basso indice glicemico prima dell’esercizio. Gli autori di entrambe le ricerche forniscono diverse spiegazioni ai risultati che, almeno rispetto alle premesse teoriche, potrebbero sembrare deludenti. Uno dei principali problemi è la discutibile qualità degli studi disponibili che spesso hanno coinvolto poche persone o gruppi troppo specifici di atleti. Quando si misura l’impatto dell’indice glicemico sulla prestazione atletica, inoltre, non si può prescindere da diversi fattori che potrebbero influenzare il risultato: dallo stato di allenamento delle persone coinvolte nella ricerca, alla eventuale disponibilità di carboidrati durante l’allenamento, al tempo trascorso tra il pasto e l’esercizio. Per tutte queste motivazioni, spiegano gli esperti, non è ancora oggi possibile raccomandare un pasto a base di carboidrati a basso indice glicemico al fine di migliorare i propri risultati sportivi.
Non ci sono dubbi sul fatto che la principale fonte di “carburante” per il muscolo durante l’esercizio sia rappresentata dai carboidrati e dai lipidi. I primi – costituiti dal glicogeno presente nei muscoli e nel fegato e dal glucosio nel sangue – si esauriscono piuttosto rapidamente, soprattutto nei lavori ad alta intensità, mentre i secondi rappresentano riserve molto più ricche e in un certo senso quasi inesauribili. Gli studi di fisiologia hanno dimostrato che, durante l’esercizio, il muscolo estrae glucosio dal sangue per utilizzarlo come fonte di energia e lo fa con meccanismi molto complessi che sono stati chiariti solo in parte e potrebbero rivelarsi importanti non solo per migliorare le prestazioni atletiche, ma anche per comprendere meglio l’impatto dell’esercizio sulla salute.
È già noto per esempio, che l’assorbimento di glucosio stimolato dall’esercizio avviene indipendentemente dai segnali che regolano l’azione dell’insulina e sono presenti anche nei muscoli di persone con insulino-resistenza, come quelle con obesità o che soffrono di diabete di tipo 2. Fare attività fisica rappresenta dunque uno strumento efficace per tenere sotto controllo il livello di glucosio nel sangue anche in presenza di queste patologie. Come se non bastasse, con l’esercizio la sensibilità all’insulina migliora e dopo 60 minuti di esercizio, il miglioramento rimane visibile per 48 ore in persone sane e per oltre 15 ore in persone con diabete di tipo 2.
Fonti:
1. Burdon CA, et al. Sports Med. 2017 Jun;47(6):1087-1101.
2. Heung-Sang Wong S, et al. Nutr Rev. 2017 May 1;75(5):327-338.
3. Sylow L, et al. Nat Rev Endocrinol. 2017 Mar;13(3):133-148.