Le statistiche dicono che circa il 25% delle persone che affrontano il tumore del polmone presentano segni di malnutrizione, con possibili impatti sulla prognosi stessa della patologia e sull’effetto dei trattamenti. Al tema è dedicata una ricerca condotta dagli esperti della Fondazione Policlinica Gemelli – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, apparsa su Clinical Lung Cancer, che evidenzia l’importanza di un corretto approccio alla sarcopenia che può comparire ed anche al mantenimento di un microbiota eubiotico nelle strategie di trattamento.
“È importante indagare sempre la presenza di segni malnutrizione nei pazienti oncologici – sostiene Maria Cristina Mele, Responsabile UOSD di Nutrizione Avanzata in Oncologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Professore Aggregato di Scienze tecniche dietetiche applicate, Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma – per intervenire tempestivamente secondo le linee guida internazionali. La malnutrizione si può sviluppare perché il paziente mangia o assimila meno, per alterazioni metaboliche, ma anche per la tossicità indotta dalla chemioterapia, che determina perdita di massa muscolare e sindrome di infiammazione sistemica. È fondamentale che gli oncologi comprendano quali siano le conseguenze e l’impatto di un buono stato nutrizionale o di una malnutrizione sul trattamento oncologico perché un paziente malnutrito, a prescindere dalla terapia attuata, sopravvive di meno”. In questo senso, esiste un percorso che parte da qualche semplice domanda: “quanti chili ha perso negli ultimi 6 mesi? Quanto sta mangiando di meno rispetto al solito?” per poi passare ai veri propri questionari per lo screening nutrizionale. A questo punto si utilizzano gli esami già effettuati per la stadiazione oncologica per acquisire elementi ulteriori, ad esempio andando a calcolare la quantità di massa muscolare attiva del paziente e quindi influire sulla sarcopenia.
“Gli studi dimostrano – spiega la Mele – che se la massa muscolare è ridotta, il paziente rischia un percorso oncologico più complesso che si complicherà prima e renderà meno efficaci le terapie. Bisogna partire dal presupposto che ogni paziente oncologico, anche se non malnutrito di base, nel suo percorso di terapia lo diventerà. Il parametro più importante da valutare per prevedere la risposta all’intervento chirurgico e alle terapie oncologiche sistemiche è la riduzione della massa muscolare, che si correla con la sopravvivenza”.
Occorre prendere in esame, secondo gli esperti, l’aspetto nutrizionale prima dell’inizio della chemioterapia. “Il sistema immunitario – spiega la Mele – funziona bene se viene rifornito costantemente con nutrienti specifici; diversamente è come se mandassimo in battaglia un esercito senza garantirgli però cibo caldo, coperte e munizioni. Un soldato stanco non è in grado di usare neppure le armi più potenti. È quello che succede al sistema immunitario in carenza di quota energetica, proteine, aminoacidi, microelementi (zinco) e vitamine (soprattutto D, A, C e B), che gli permettono di produrre le armi in grado di distruggere tutti gli invasori, dai batteri, alle cellule in trasformazione. Nel caso di un paziente oncologico, per effettuare una buona immunonutrizione, sono da preferire i prodotti arricchiti di arginina, nucleotidi e omega-3, per la capacità di modulare la cascata proinfiammatoria”. Infine, anche il microbiota intestinale ha bisogno di certi nutrienti e costituenti del cibo per mantenere l’immunomodulazione. Il cibo quando il paziente non viene rialimentato precocemente per vie naturali dopo un intervento (troppo spesso dimentichiamo che siamo cibo che deve transitare per l’intestino) può presentare traslocazione batterica, perché l’intestino non nutrito diventa più permeabile ai batteri e questo facilita lo sviluppo di infezioni, quali le polmoniti da enterobatteri.
“Nutrire correttamente dunque significa anche modulare il microbiota e impedire che questa enorme massa di batteri ‘cattivi’ vada a raggiungere aree del corpo dove questi batteri possono dar luogo a gravi infezioni – conclude l’esperta”.