È davvero complesso il processo dell’aterosclerosi, che porta alla formazione di placche all’interno della parete arteriosa e quindi può condurre a deficit di sangue ed ossigeno nella zona a valle del vaso o dei vasi interessati. Probabilmente, in un fenomeno multifattoriale, anche il microbiota potrebbe giocare un ruolo. A dirlo sono diversi studi scientifici che si sono succeduti in questi anni, che oggi propongono proprio la composizione del microbiota come possibile cofattore della genesi del quadro.
Da tempo si sa che quando si introducono vari alimenti di origine animale si crea una catena che origina da colina, fosfatidilcolina, o carnitina e conduce alla formazione di TriMetilAmina (TMA). Questa, previa ossidazione enzimatica che avviene nel fegato, può diventare TriMetilAmina Ossido (TMAO), potenzialmente responsabile delle problematiche a carico della parete arteriosa.
In presenza di livelli elevati nel sangue di TMAO, infatti, si osserva un rischio di comparsa di eventi cardiovascolari. A volte però ci si dimentica dell’importante ruolo che il microbiota gioca all’interno del processo: la conversione della carnitina, della colina o della lecitina in TMA avviene solamente in presenza, a livello intestinale, di ceppi batterici caratterizzati da una specifica dotazione enzimatica.
Al momento, ovviamente, non si possono trarre indicazioni pratiche di questo processo, ampiamente dimostrato in animali da esperimento sottoposti a trattamenti antibiotico. Ma non ci sono dubbi che, qualora arrivassero conferme certe del ruolo del microbiota, si potrebbe pensare non solo ad agire sull’introito di alimenti di origine animale ma anche ad intervenire sul microbiota, e quindi sulle modificazioni metaboliche indotte dal microbiota stesso su componenti della dieta, diventerebbero procedure alternative, o complementari, da valutare attentamente nei loro effetti complessivi sul rischio cardiovascolare.
L’obiettivo è quindi comprendere al meglio i processi che si verificano e quindi pensare ad agire direttamente sul microbiota stesso, per influire sulla capacità complessiva dei ceppi batterici presenti nell’intestino nella produzione di TMA, anche per influire positivamente sul possibile ruolo pro-infiammatorio che TMAO potrebbe giocare e sulle possibile interferenze su questo meccanismo, già a partire dall’azione dei batteri stessi.
Alcuni studi hanno infatti dimostrato che il microbiota potrebbe produrre a partire da fibre di frutta, verdura e cereali integrali gli acidi grassi a corta catena, composti di sintesi batterica che posseggono un’azione antinfiammatoria. Questa attività potrebbe riverberarsi non solo sul rischio cardiovascolare ma anche su una possibile azione protettiva del microbiota in chiave antitumorale.
L’individuazione di questi processi, che necessita di prove cliniche sostanziali, può quindi rivelarsi per il futuro un importante strumento di salute e prevenzione, che passa attraverso i batteri che vivono nel nostro tubo digerente.
Pensare al microbiota dell’intestino e associarne il corretto funzionamento con la salute e il benessere dell’intestino stesso … è normale, rientra in quanto riteniamo ovvio.
Molto meno scontato è accettare che i batteri dell’intestino possano avere un ruolo in organi del nostro corpo non direttamente correlati con l’intestino stesso; ma dall’inizio di questo secolo in poi si sono accumulate evidenze scientifiche che queste correlazioni le hanno trovate e dimostrate, basti pensare all’asse intestino-cervello, che mette in rapporto il cervello, incluso il nostro umore, con la composizione del microbiota intestinale.Oggi, con questo articolo e altri simili, si inizia a delineare un rapporto di causa-effetto anche le funzioni cardiache; il microbiota intestinale è un grande elaboratore chimico che immette in circolo sostanze più o meno utili, più o meno pericolose per la nostra salute. Una bella finestra aperta su temi di ricerca futuri con, all’orizzonte, come sempre, il tema centrale del rapporto microbiota intestinale, alimentazione, salute.
Commento di Lorenzo Morelli, Presidente Scientifico Fondazione Istituto Danone