Ebbene sì, se il numero sulla bilancia sale nell’adolescenza, il cuore ne paga le conseguenze in età adulta. Lo dimostra uno studio da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine che ha analizzato nel dettaglio il complesso rapporto tra peso durante l’adolescenza e rischio di problemi cardiovascolari fatali una volta raggiunta l’età adulta. Si tratta di una ricerca molto ampia, che ha coinvolto ben 2,3 milioni di adolescenti israeliani valutando i dati su peso e altezza raccolti nel corso delle visite per il servizio militare tra il 1967 e il 2010.
Al momento dell’analisi finale, alcune persone erano state seguite per circa 40 anni alla ricerca di una relazione tra indice di massa corporea (calcolato in base alle misure di peso e altezza) e problemi cardiovascolari fatali come ictus, coronaropatie o morte improvvisa senza una causa nota. I risultati lasciano poco spazio ai dubbi: anche dopo aver tenuto conto di fattori che avrebbero potuto influenzare gli esiti finali (età, genere, anno di nascita e caratteristiche sociodemografiche) il rischio di andare incontro a problemi cardiovascolari fatali da adulti era molto più elevato se l’indice di massa corporea nell’adolescenza era oltre il limite del normopeso.
I dati dei ricercatori israeliani sono solo una delle tessere del puzzle che descrive quanto l’eccesso di peso in giovane età sia pericoloso per la salute nel corso della vita adulta. E il quadro si complica ulteriormente se si pensa che quanto emerso dallo studio appena citato deriva almeno in parte dall’analisi di una popolazione di adolescenti molto diversa da quella attuale: chi era adolescente negli anni ’70 del secolo scorso aveva in genere meno probabilità di essere in sovrappeso o obeso e più probabilità di condurre una vita attiva o comunque meno sedentaria di quella dell’adolescente del nuovo millennio, trascorsa molto spesso davanti a PC e smartphone.
Tutta questa inattività, unita alla grande disponibilità e al sempre più frequente consumo di cibi e bevande altamente calorici (e spesso poco nutrienti) hanno creato una situazione particolare e decisamente nuova per i medici: i bambini presentano segni e sintomi di patologie un tempo tipiche solo di chi era un po’ più in là con gli anni. Non è poi così raro incontrare oggi negli ambulatori pediatrici bambini e adolescenti con problemi di ipertensione, alti livelli di colesterolo e trigliceridi o con resistenza a insulina, un fattore di rischio per lo sviluppo di diabete di tipo 2. E come se non bastasse, i bambini obesi hanno buone probabilità di rimanere tali anche da adulti e corrono maggiore rischio di andare incontro a problemi di salute gravi una volta cresciuti: dalle malattie cardiovascolari alla resistenza all’insulina, dai disturbi muscoloscheletrici come l’osteoartrite ad alcuni tumori in particolare quelli di colon, seno ed endometrio.
Gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’hanno definita “globesity”. È l’epidemia mondiale di obesità che ha ormai raggiunto livelli difficili anche da immaginare: oltre 300 milioni di adulti obesi nel mondo, anche nei paesi in via di sviluppo dove più di 115 milioni di persone soffrono di problemi legati all’obesità. E i bambini non sono esclusi dall’epidemia. Secondo i dati OMS, i bambini tra 0 e 5 anni sovrappeso o obesi erano 32 milioni nel 1990 e 42 milioni nel 2013 con stime che parlano di 70 milioni nel 2025 se la tendenza non cambia. Trovare una soluzione a un problema tanto vasto non è semplice, come non è semplice definire le cause dell’obesità: fattori sociali, ambientali, psicologici e fisici, oltre naturalmente ai fattori genetici, contribuiscono all’eccesso di peso ed è importante agire su tutti questi fronti contemporaneamente per essere davvero efficaci. L’alimentazione corretta – come la classica dieta mediterranea – di certo gioca un ruolo di primo piano, ma contano anche l’attività fisica e l’educazione, non solo del bambino, ma di tutta la sua famiglia e dell’intera società.
Board: Fondazione Istituto Danone
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