È in questo solco che si inserisce la ricerca recentemente apparsa su Nature Aging, che in pratica prova a correlare il microbiota in età giovanile con quello dei centenari e viceversa, in cerca di stigmate caratterizzanti, vere e proprie firme biologiche, che permettano di identificare i tratti del microbiota della longevità, capace di modellarsi come quello dei giovani in salute.
L’indagine ha studiato il microbiota di 1.575 individui di età compresa tra 20 e 117 anni: più o meno un quinto di loro ha dichiarato di avere almeno cento anni.
I partecipanti sono stati valutati in cinque gruppi correlati all’età. Giovani adulti (20–44 anni), un gruppo di mezza età (45–65 anni), anziani (66–85 anni), un gruppo di novantenni (90-99 anni) e appunto i centenari ed oltre. In sintesi, ecco i risultati dello studio. Innanzitutto il microbiota dei centenari si rivela molto simile a quello dei giovani adulti, under-44, con una bassa presenza di potenziali patogeni e una sovrarappresentazione di Bacteroides spp. Ma non basta. Si è osservato anche un incremento di specie batteriche dall’aspetto potenzialmente benefico, sempre del genere Bacteroidetes. Soprattutto, come dimostra la rilevazione della traiettoria dei mutamenti del microbiota in una piccola popolazione di centenari, nonostante il progressivo invecchiamento di chi ha superato i cent’anni le caratteristiche del microbiota si mantengono inalterate. Morale. Esisterebbe una sorta di identikit biologico del microbiota che appare associato alla longevità. Così nasce la speranza, per ora solo ipotizzata e da valutare, di far fronte ai processi di senescenza o alle cronicità che rendono fragile l’anziano.
La struttura adulta del microbiota intestinale viene raggiunta ad un anno di vita e tende a mantenersi stabile per tutta la vita. La letteratura sulla composizione del microbiota intestinale dell’anziano è molto varia e rende difficile definire un “età soglia” in cui l’ambiente intestinale comincia ad essere realmente compromesso dai processi d’invecchiamento. In genere, come viene confermato anche dalla ricerca cinese, in chi è avanti con gli anni tendono ad aumentare quelle specie anaerobie facoltative come Streptococchi, Stafilococchi, Enterococchi ed Enterobacteria, che comprendono specie potenzialmente patogene in grado di crescere abbondantemente in caso di infiammazione ed essere quindi causa di infezioni. Di certo c’è che il microbiota incide nel processo di immunosenescenza, cioè sul declino della funzionalità del Sistema Immunitario, che favorisce uno stato cronico di infiammazione subclinica dell’intero organismo. Difetti nutrizionali e fragilità di organi e tessuti contribuiscono all’instaurarsi di uno stato infiammatorio in presenza di microflora simbiotica. In questo contesto i batteri patogeni grazie alla debolezza del sistema immunitario e allo stato infiammatorio persistente, crescono in numero ed alimentano il processo infiammatorio in una sorta di circolo vizioso. Il mantenimento di una microflora intestinale “sana” durante l’invecchiamento può, perciò, prevenire i processi infiammatori. Magari aiutando ad invecchiare in salute.
Questo interessante studio conferma quanto la letteratura scientifica sottolinea da tempo: lo stile di vita, quindi l’alimentazione in primis, influenza il modo di invecchiare. Per raggiungere un invecchiamento di successo dobbiamo mangiare in modo corretto in modo da evitare la disbiosi, alterazione del microbiota intestinale. Dare vita agli anni e non anni alla vita passa anche da come nutriamo il nostro microbiota.
Commento della dott.ssa Mariangela Rondanelli, Specialista in Endocrinologia e in Scienza dell’Alimentazione