Semmai, è vero il contrario, almeno stando a quanto riportano i risultati di una ricerca degli esperti dell’Università Duke, pubblicata su International Journal of Eating Disorder. L’indagine ha preso in esame quasi 20.000 adulti che avevano sofferto del quadro (in qualche caso ancora presente), dimostrando che in circa quattro casi su dieci viene rilevata l’importanza di una condizione di famiglia positiva sul fronte psicologico: questo atteggiamento significa avere flessibilità in termini di proposte alimentari, di sicurezza degli alimenti, di partecipazione del piccolo alla presentazione del pasto. Più in generale le strategie positive e incoraggianti sono state percepite come utili per migliorare l’atteggiamento nei confronti del cibo e ridurre al minimo il disagio sociale nell’alimentazione. Gli studiosi segnalano come per alcuni partecipanti all’indagine si sia registrata una vera e propria avversione nei confronti di alcuni alimenti, visto che anche da adulti si è mantenuta la sensazione di essere “costretti” a nutrirsi con un determinato alimento.
In termini generali, il bambino con Arfid presenta alcune caratteristiche che vanno considerate. A volte il suo palato sembra richiedere solamente alimenti molto morbidi, come il budino, lo yogurt o il purè. O magari rivolge le sue preferenze soltanto ad alimenti croccanti. C’è poi un altro aspetto da considerare: bisogna prestare attenzione anche se le sue scelte alimentari vengono guidate dal colore. A volte può scegliere tonalità chiare, come quelle della pasta con burro e formaggio o la classica carne bianca o il pesce. In altri casi punta invece decisamente sul rosso, sembrando magari goloso di pasta al pomodoro, fragole o simili. Di fronte a scelte alimentari apparentemente inspiegabili, non c’è solo un vezzo. All’origine della situazione può essere una sorta di “alimentazione selettiva” che deve essere presa in considerazione ed affrontata, insieme al pediatra.
In sintesi: ricordate di parlare sempre con il pediatra se il bambino tende ad evitare recisamente alcuni alimenti, senza un motivo inspiegabile, nutrendosi sempre con gli stessi cibi. Il problema colpisce soprattutto i maschi, sei bimbi su dieci che ne soffrono sono di sesso maschile, e la sua insorgenza si concentra dall’età prescolare fino al termine delle scuole medie.
Il disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo (Avoidant/restrictive food intake disorder, ARFID) è una nuova categoria diagnostica, da applicare nei casi in cui un’alimentazione insufficiente non si accompagna alla paura d’ingrassare né a un’importanza eccessiva attribuita al peso e alle forme del corpo e, per questo motivo, si distingue dall’anoressia nervosa. Può manifestarsi sia in età pediatrica che adulta, con una prevalenza variabile dal 5 al 22%, e nonostante la mancanza di un evidente disturbo del rapporto con il proprio corpo, può comportare danni fisici, anche molto gravi, sofferenze psichiche, difficoltà nei rapporti sociali, affettivi, lavorativi.
È pertanto importante non sottovalutare questo disturbo della nutrizione e alimentazione, intercettando il bambino già dalle prime manifestazioni di selettività/restrizione alimentare, perché il disturbo potrebbe, se trascurato, strutturarsi nel tempo ed evolvere verso un quadro di anoressia nervosa, con l’evidenza del nucleo psicopatologico che predispone alla dispercezione corporea ed alla ossessione sul controllo del proprio corpo e della propria immagine che induce alla limitazione ossessiva dell’assunzione di cibo.
Commento del dr. Giacomo Biasucci, pediatra, Membro del Board Scientifico di Fondazione Istituto Danone.