L’organismo umano adulto è costituito per il 60% circa da acqua che si trova soprattutto all’interno delle cellule, determinandone il turgore e rendendo possibile una serie di reazioni fondamentali per il buon funzionamento dell’organismo. Data l’enorme importanza dell’acqua per la vita umana, è importante fare in modo che l’organismo sia sempre ben idratato e per raggiungere questo obiettivo, solo apparentemente a portata di mano, gli esperti della Società Italiana di Nutrizione Umana spiegano che un’assunzione adeguata per l’uomo adulto è rappresentata da 2,5 litri di acqua al giorno e per una donna adulta da 2 litri al giorno, da assumere anche sotto forma di alimenti.
Sulla pericolosità della disidratazione non ci sono dubbi: quando questa raggiunge l’1% del peso corporeo insorgono problemi nelle performance fisiche e quando arriva al 2% si comincia ad avvertire il senso di sete. Più si va avanti con la disidratazione maggiori sono le conseguenze negative per l’organismo che possono rivelarsi anche letali se si supera il 10%. La “macchina umana” ha sviluppato una serie di meccanismi volti a tenere alla larga il rischio di disidratazione a partire dallo stimolo della sete, regolato in specifiche aree del sistema nervoso capaci di sentire e rispondere in modo adeguato a segnali interni ed esterni.
Tradizionalmente la sete è stata vista come un meccanismo di difesa dell’organismo dalla disidratazione che si mette in moto in risposta ai cambiamenti di volume e di concentrazione del sangue. In altre parole il cervello “chiede” altri liquidi per mantenere il bilancio dei fluidi corporei a livelli ottimali. Viene però da chiedersi come sia possibile che la sete si plachi subito dopo aver bevuto un buon bicchiere d’acqua, molto prima che i liquidi abbiano avuto il tempo di essere assorbiti e di modificare il volume sanguigno.
La risposta arriva anche da uno studio pubblicato nel 2016 dai ricercatori della University of California San Francisco sulla rivista Neuroscience che ha permesso di definire il ruolo di alcuni neuroni nel regolare la sete. “Un gruppo di neuroni presenti nell’organo subfornicale è in grado di regolare in modo anticipato la sete: in pratica questi neuroni sono in grado di prevedere come i fluidi e il cibo ingerito andranno a influenzare il bilancio dei liquidi nell’organismo” spiegano gli autori. Grazie a queste cellule gli impulsi che arrivano dalla cavità orale quando si beve o si mangia vengono integrati con le informazioni sulla composizione del sangue per arrivare al risultato finale che può essere lo “spegnimento” del segnale della sete anche prima che sia modificato il volume dei fluidi nell’organismo.
In India o in Marocco, dove le temperature sono in genere piuttosto alte, non è raro vedere persone che consumano bevande calde. Questa tradizionale pratica, che a prima vista potrebbe sembrare poco appropriata, trova una sua spiegazione nella scienza che ha dimostrato come con il consumo di bevande calde il calore trattenuto dall’organismo si riduca. Ed è soprattutto una questione di sudorazione. Il sudore, e in particolare la sua evaporazione, è uno dei metodi più efficaci per disperdere il calore corporeo e mantenere un bilancio termico dell’organismo.
Quando si bevono bevande calde, il corpo reagisce all’aumento di temperatura creato dal liquido ingerito aumentando la sudorazione: 570 ml di sudore prodotto se la bevanda raggiunge i 50 °C contro i circa 465 se la bevanda si ferma a 1,5 °C. Una volta giunto in superficie il sudore evapora rinfrescando la pelle e l’intero organismo, ma se le condizioni esterne non consentono una piena evaporazione la situazione può cambiare. “Se il clima è caldo e umido l’evaporazione non è completa e potrebbe quindi essere meglio una bevanda fredda per mantenersi idratati limitando la perdita di liquidi con la sudorazione” spiegano gli autori.
Fonti:
1. LARN – Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana: ACQUA.
2. CREA – Linee guida per una sana alimentazione italiana. Cap 5.
3. Zimmerman CA, et al. Nature. 2016 September 29;537(7622): 680–684.
4. Bain AR, et al. Acta Physiol (Oxf). 2012 Oct;206(2):98-108.
5. Bain AR, et al. Med Sci Sports Exerc. 2015 Jun;47(6):1316-7.