Il microbiota, si sa, tende a modificarsi nel tempo nello stesso individuo. E non solo per l’età, ma anche per le abitudini di vita, prima tra tutte l’alimentazione. Si tratta di un meccanismo di adattamento di grande importanza, che porta le popolazione batteriche predominanti nel tubo digerente, ed in particolare nell’intestino, a mutarsi e variare.
In questo splendido naturale meccanismo di biodiversità esisterebbe anche una sorta di “fattore sociale” che in qualche modo influisce su tante condizioni che possono predisporci a problemi, primo tra tutti la resistenza agli antibiotici. Se si vive in grandi città sarebbe più difficile mantenere questo patrimonio di biodiversità, con evidenti ripercussioni legate all’uniformarsi del microbiota. In particolare la vita metropolitana sarebbe correlata ad uno scambio di geni tra i batteri, con sostanziale uniformarsi, nel tempo dei ceppi batterici che vivono al nostro interno. A dirlo è una ricerca del Massachussets Institute of Technology (MIT), coordinata da Eric Alm e pubblicata sulla rivista Cell.
Questo costante scambio di informazioni genetiche tra i batteri sarebbe alla fine una sorta di limite per la biodiversità, con progressivo assottigliarsi delle differenze e conseguente uniformità, sul fronte genetico, dei batteri del tubo digerente.
L’analisi condotta dai ricercatori d’oltre Oceano deriva dall’impegno del programma Global Microbiome Conservancy (GMbC), che ha raccolto campioni della flora batterica intestinale di persone in 34 nazioni nel mondo, con particolare attenzione alle popolazioni di “minoranze”.
L’obiettivo dello studio è individuare e proteggere, come veri e propri “animali rari”, i ceppi batterici che fanno parte del nostro microbiota e rischiano di scomparire visto il diffondersi di abitudini alimentari e stili di vita simili su tutto il pianeta. Sotto accusa, in particolare, è il costante scambio di materiale genetico tra i batteri intestinali nelle aree maggiormente industrializzate, scambio che invece non si verifica allo stesso modo nelle popolazioni che vivono in zone rurali.
Tra gli esempi raccontati nello studio c’è quello degli allevatori di bestiame, che tendono ad incorporare nel patrimonio genetico geni per la resistenza agli antibiotici in qualche modo “scambiati” con gli animali qualora questi vengano sottoposti a trattamenti. Sull’altro fronte, invece, per chi fa una vita rurale ed ha un’alimentazione mista i geni più frequentemente scambiati sono quelli legati al processo di degradazione delle fibre alimentari, fondamentali per il benessere intestinali per il loro ruolo di probiotici.
Il valore della biodiversità per il microbiota intestinale si può spiegare con una immagine: un puzzle non è definito nella sua immagine ma anche “stabile” nella sua struttura fino a quando anche l’ultima tesserina non è stata collocata al posto giusto. Avere tante “tesserine” (i diversi batteri) nel proprio intestino ci assicura una migliore qualità della vita: tanti elementi diversi che possono intervenire a nostro favore in situazioni diverse.
Ma se riduciamo il numero dei vari tipi di “tessere” l’immagine della nostra salute intestinale risulta meno netta, meno chiara. Siamo meno protetti!
Commento di Lorenzo Morelli, Presidente Scientifico Fondazione Istituto Danone