Microbiota, così governa l’intake di energia e il rischio sovrappeso

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A volte fanno rabbia. Persone sedute al nostro fianco che mangiano esattamente quanto introduciamo noi, e magari anche di più, e non accumulano quasi nulla in termini di tessuto adiposo. Trovare spiegazioni a queste reazioni così diversi sotto il profilo del bilancio energetico non è certo semplice. Ma sempre di più si accumulano evidenze che indicano la composizione del microbiota come possibile cofattore in grado di guidare le differenti reazioni degli organismi ad un medesimo introito calorico.

A corroborare questa ipotesi giunge ora una ricerca condotta dagli studiosi del Dipartimento di Nutrizione e sport dell’Università di Copenaghen, coordinati da Henrik Roager, apparsa su Microbiome. Lo studio aggiunge valore all’ipotesi del ruolo del microbiota nel favorire (o contrastare) il dispendio di energia ed il conseguente accumulo energetico per l’organismo sotto forma di tessuto adiposo.

Sotto esame i “residui” energetici fecali

Lo studio aggiunge un tassello alle conoscenze sul ruolo del microbiota nell’immagazzinamento dell’energia ed appare originale soprattutto per il meccanismo di valutazione. Gli studiosi hanno infatti correlato in 85 soggetti adulti l’energia residua nelle feci con la composizione del microbiota, al fine di valutare l’efficacia dei batteri presenti nell’estrazione di energia. Il quadro che emerge da questa doppia analisi fa riflettere: quasi quattro persone su dieci tendono ad estrarre più energia dal cibo rispetto all’altro 60% e purtroppo chi fa parte del primo gruppo tende ad accumulare più peso, con un incremento medio peri al 10% rispetto alla popolazione di controllo.

Insomma: il lavoro conferma l’ipotesi che il sovrappeso potrebbe non dipendere esclusivamente dall’alimentazione e dalle sue caratteristiche quali-quantitative, ma anche dal microbiota del singolo. In particolare, si è visto che la componente con maggior facilità ad estrarre energia dal cibo e quindi a prendere peso avrebbe una composizione del microbiota particolarmente ricca di batteri del genere Bacteroides rispetto a quanto osservato con prevalenza di Ruminococcaceae e Prevotella. La loro specifica efficacia in questa funzione potrebbe quindi comportare la disponibilità di un maggior quantitativo calorico per l’ospite a parità di cibo ingerito.

Curiosità finale. Valutando i tempi di transito dei principi alimentari dalla bocca fino al retto, che ci verifica in media in 12-36 ore, si è visto che a parità di modelli dietetici e quindi di introduzione di cibo i tempi lunghi di percorrenza e quindi di esposizione dei principi nutritivi ai processi di assorbimento non sarebbero direttamente correlati all’energia immessa nell’organismo. I partecipanti con un maggior numero di Bacteroides, quindi con maggior facilità ad estrarre energia, hanno infatti mostrato anche un transito gastrointestinale più rapido.

C’è ancora molto da fare, insomma, per comprendere bene cosa accada. Ma rimane una realtà peraltro già ipotizzata in studi sperimentali: le differenze nell’aumento di peso potrebbero legarsi  al fatto che i batteri intestinali delle persone obese risultano più efficienti nell’estrarre energia dal cibo.

Argomento esplosivo quello dell’articolo, da intendersi, però, come un inizio di un percorso di ricerca da approfondire. Da ricercatore noto che, nel settore della nutrizione zootecnica (che a volte precorre le ricerche relative alla nutrizione umana) da anni accumulano dati sul rapporto fra composizione del microbiota intestinale e “indice di conversione” cioè quanta energia e nutrienti si estraggono dalle diete con cui vengono nutriti gli animali. I ricercatori danesi hanno esteso all’uomo questo tipo di analisi e… forse rispondono alla domanda “ma perché io ingrasso solo a guardare un cannolo alla ricotta e il mio collega ne mangia 6 e non ingrassa di un grammo?” Attendiamo conferma da indagini su più ampia scala, ma la strada è ormai aperta.

Commento del prof. Lorenzo Morelli, Presidente Scientifico Fondazione Istituto Danone

 

 

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