La ricerca si chiama ATTICA ed è stata condotta tra il 2001 e il 2012 in Grecia sotto il coordinamento di Matina Kouvari dell’Università Harokopio di Atene. Ha preso in esame l‘associazione tra il consumo di alimenti ultra-elaborati e lo sviluppo di malattie cardiovascolari (o di decesso) osservando le persone in un periodo di 10 anni.
Sono stati valutati adulti senza patologie cardiovascolari all’inizio dello studio, cui è stato chiesto la frequenza e le dimensioni delle porzioni di una serie di cibi e bevande consumati durante i sette giorni precedenti. I ricercatori hanno anche utilizzato un questionario per valutare il livello di aderenza a un modello alimentare salutare per il cuore, ovvero la dieta mediterranea, che enfatizza frutta, verdura e cereali integrali. Ai partecipanti è stato assegnato un punteggio, con valori più elevati per le persone che meglio seguivano i dettami dell’alimentazione mediterranea. Nei dieci anni di osservazione sono stati monitorati eventi cardiovascolari fatali e non fatali tra cui infarto, angina instabile, ictus, insufficienza cardiaca e aritmie. Sono stati valutati poco più di 2000 soggetti, equamente divisi tra donne ed uomini, con un’età media di 45 anni.
L’analisi dei dati mostra che in media ogni persona ha consumato circa 15 porzioni di alimenti ultralavorati a settimana. Durante i 10 anni di follow-up si sono verificati 317 eventi cardiovascolari. L’incidenza di eventi cardiovascolari è stata progressivamente più elevata con l’aumentare del consumo di alimenti ultralavorati. Con un consumo medio settimanale di 7,5, 13 e 18 porzioni, l’incidenza delle malattie cardiovascolari è risultata rispettivamente dell’8,1%, 12,2% e 16,6%. Ma non basta: ogni porzione settimanale aggiuntiva di cibo ultraprocessato era associata a una probabilità maggiore del 10% di malattie cardiovascolari entro i dieci anni di osservazione.
L’associazione è stata rivalutata in base all’aderenza ad una dieta mediterranea. Il ruolo aggravante degli alimenti ultra-processati è diventato ancora più forte nei partecipanti con un basso livello di aderenza a questo modello dietetico.