Lo studio, che apre interessanti prospettive di ricerca e non si può ritenere conclusivo, punta proprio a chiarire questo. E permette di valutare come esistano popolazioni batteriche che, se maggiormente presenti, si associano ad una maggior sensibilità all’azione dell’ormone ed altre che invece sarebbero associate ad un minor sensibilità all’insulina.
I dati considerati nell’analisi derivano dalla popolazione di uno studio multicentrico denominato MILES (Microbiome and Insulin Longitudinal Evaluation Study). In particolare sono stati valutati più di 350 adulti senza diabete noto, sottoposti a visite cliniche in serie e ad analisi di campioni fecali per lo studio del microbiota, con particolare riferimento a batteri precedentemente associati alla resistenza all’insulina. Inoltre, ogni partecipante ha compilato un questionario sulle abitudini alimentari e ha eseguito un test di tolleranza al glucosio orale, che è stato utilizzato per determinare la capacità di elaborare il glucosio.
In 28 casi si sono osservati risultati che potevano inquadrarsi nel vero e proprio diabete e in 135 persone è stata registrata una condizione di “prediabete”, con valori di glicemia maggiori dei limiti superiori della norma ma non ancora francamente patologici. Studiando i batteri, si è visto che i ceppi del genere Coprococco e altri batteri correlati hanno avuto un’azione positiva sulla sensibilità insulinica. Al contrario, un’ampia presenza di batteri del genere Flavonifractor è risultata associata all’insulino-resistenza, nonostante si tratti di ceppi che producono butirrato e quindi ad azione teoricamente protettiva. Il dato conferma quanto già osservato in altri studi, con elevata presenza di questo ceppo nelle feci di persone con diabete.
Come segnalano gli stessi studiosi nella pubblicazione, in ogni caso, non si può dimenticare che siamo di fronte ad uno studio iniziale e soprattutto quanto osservato è figlio dell’associazione e non di una correlazione, ovvero di un diretto rapporto causa-effetto. Diventa difficile insomma comprendere se siano le variazioni del microbiota a favorire la ridotta risposta all’insulina o sia questa caratteristica metabolica nel tempo a determinare i mutamenti del microbiota stesso. Per ora, in ogni caso, non è proprio il tempo di pensare ad un eventuale trattamento con probiotici per modulare la risposta in chiave protettiva, nei soggetti a rischio di sviluppare diabete.