La scienza dell’alimentazione si aggiorna

In questo post..

Il rapporto tra alimentazione e patrimonio genetico è a doppio senso, con influenze reciproche tra ciò che mangiamo e ciò che si legge nel DNA. E la scienza dell’alimentazione deve tenere conto di tale dialogo.

Discipline nuove per una scienza antica

Dopo il sequenziamento del genoma umano portato a termine all’inizio del millennio, lo studio del DNA è entrato prepotentemente a far parte di molte discipline scientifiche completandole e arricchendole. E la scienza dell’alimentazione non fa certo eccezione aprendo le porte a nuove discipline dai nomi complessi come nutrigenetica, nutrigenomica o epigenetica che studiano, da punti di vista simili ma non identici, il complesso rapporto tra cibo e geni. Tutte queste nuove scienze rientrano sotto il cappello della più generale genomica nutrizionale, ma è importante chiarire quali sono le specifiche aree di competenza e i diversi approcci utilizzati dagli esperti per comprendere meglio come il cibo, attraverso il DNA, influenza la nostra salute e il nostro benessere.
Sempre partendo da quelli che possono essere considerati i quattro pilastri sui cui si basa la genomica nutrizionale:

1. la dieta è un fattore critico per determinare l’insorgenza di malattie e lo stato di salute di specifici individui in determinati contesti;
2. i nutrienti introdotti con la dieta cambiano la struttura e/o l’espressione dei geni;
3. le differenze nel DNA di diversi individui possono spiegare l’equilibrio salute/malattia;
4. i geni che vengono attivati o regolati nell’espressione dalla dieta possono avere un ruolo fondamentale nel determinare il rischio di insorgenza e progressione delle patologie croniche.

Le definizioni sono importanti

Come accennato in precedenza, cibo e DNA si parlano costantemente e si influenzano reciprocamente. Nutrigenetica e nutrigenomica analizzano le due direzioni opposte di questo dialogo.

immagine simbolica di un'analisi di laboratorio

La nutrigenetica è infatti la scienza che studia come le caratteristiche specifiche del patrimonio genetico possano influenzare la risposta al cibo. Nella nutrigenetica vengono studiati soprattutto quelli che in gergo tecnico si chiamano Single Nucleotide Polymorphism (o SNP) ovvero delle differenze molto sottili all’interno di un gene che possono però avere un impatto enorme quando si tratta di risposta a un trattamento o anche a un determinato intervento a livello nutrizionale. Il gene della lattasi è l’esempio più classico e uno dei casi più studiati in nutrigenetica: a seconda della variante genetica presente nel gene della lattasi (l’enzima che permette di digerire lo zucchero del latte, il lattosio) una persona sarà o meno in grado di consumare latte e derivati senza spiacevoli problemi intestinali. Gli esperti sono riusciti a identificare diverse varianti in numerosi geni che si legano al rischio di malattia tanto da essere in grado di calcolare dei veri e propri “punteggi di rischio genetico” che permettono per esempio di prevedere quale impatto avrà un certo tipo di dieta su un soggetto con un determinato punteggio.

La nutrigenomica si muove invece nella direzione opposta: non studia l’effetto dei geni sulla nutrizione, ma l’impatto degli alimenti sull’espressione dei geni. Come la nutrigenetica, anche la nutrigenomica ha conosciuto un grande sviluppo con l’avvento delle tecnologie “omiche” che permettono di valutare contemporaneamente una quantità di dati molto elevata anzichè un solo gene alla volta. Grazie agli studi di genomica si è visto quindi che la tipica dieta occidentale, ricca di grassi saturi e carboidrati raffinati, modifica il profilo di espressione dei geni aumentando il livello di quelli legati all’infiammazione e al cancro, rispetto a diete come quella mediterranea ricche in frutta, verdura e cereali integrali. E questo è solo uno dei numerosissimi esempi di come l’alimentazione può cambiare l’espressione dei geni e di come potrebbe quindi essere utilizzata per prevenire in modo mirato numerose patologie.

Infine, quando si parla di nutrigenomica non si può ignorare l’epigenetica, che spiega molte delle variazioni nell’espressione dei geni osservate grazie agli studi sopra citati. I cambiamenti epigenetici sono infatti modifiche che interessano il DNA, ma non ne cambiano in modo radicale la struttura, ovvero non incidono sulla sequenza di partenza. Si tratta invece di modifiche di tipo chimico che però riescono a “spegnere” o “accendere” i geni. Il fenomeno epigenetico più noto è la cosiddetta metilazione, ovvero l’aggiunta di un gruppo chimico formato da un atomo di carbonio e tre di idrogeno (metile, -CH3) in un punto ben specifico del DNA. Questa modifica è molto meno superficiale di quanto possa apparire, dal momento che può bloccare l’espressione del gene e soprattutto può essere trasmessa alle generazioni successive.

Fonti: 
1. Elsamanoudy AZ, et al. Journal of Microscopy and Ultrastructure 2016; 4(3):115-122.
2. Comerford KB, Pasin G. Nutrients. 2017 Jul 6;9(7). doi: 10.3390/nu9070710
3. Ramos-Lopez O, et al. J Nutrigenet Nutrigenomics. 2017;10(1-2):43-62.

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